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Deep Inside New York - Cinquantaduesima Strada

30/10/2019

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Situata fra la 5a e la 6a Avenue a New York (ma comprende anche una porzione a ovest della 6a, questa arteria occupa un posto a sé nella storia e nell’immaginario del jazz. A causa dell’agitazione che regnava a tutte le ore nei suoi club (“La strada che non s’addormenta mai”), il quartiere fu al centro della vita e delle discordie del jazz dal 1935 al 1955. La fine del proibizionismo segnò il debutto del fenomeno della strada (“The Street”). L’Onyx, primo club del quartiere, era uno speakeasy (locale clandestino per spaccio di liquori) ricovertito in fretta in locale legale. E fu l’esplosione: Three Deuces, Jimmy Ryan’s, The Famous Door, Hickory House, Downbeat, Spotlite, ecc. Aprirono le loro porte, e i più grandi nomi del jazz vi passarono: da Art Tatum a Red Norvo, da Coleman Hawkins a Sarah Vaughan, Dizzy Gillespie, Charlie Parker, Erroll Garner, Count Basie e la sua band, Billie Holiday, Fats Waller, Lester Young, ee. Da semplice luogo di produzione, la Strada divenne il simbolo di questa musica, della vita notturna che le si associava, dei suoi conflitti e delle sue evoluzioni caotiche: il passaggio dallo stile New Orleans allo swing, dallo swing al bop e al coll ecc. A poco a poco, anche sotto la spinta della speculazione edilizia, il jazz si disperse in diversi punti di Manhattan, insediandosi principalmente nel Village. Dal 1977, la 52a Strada è un luogo archiviato, ribattezzato Swing Street, e uno dei suoi marciapiedi è decorato da targhe commemorative; la 52a Strada è per il jazz ciò che Sunset Boulevard è per il cinema.
Thelonious Monk ha composto un tema che Leonard Feather ha battezzato 52nd Street Theme e che, un tempo, è servito da sigla per alcuni club della strada. Dizzy Gillespie ne ha registrato una versione nel 1946. Da leggere: 52nd Street: The Street Of Jazz, di Arnold Shaw.
[P.B., C.G.]

Puoi ascoltare “52nd Street Theme (1946) Dizzy Gillespie and his Orchestra” selezionandola dal JUKEBOX
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Il Sassofono 7/12

28/10/2019

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<<La storia del sax alto si divide in tre periodi: l’era pre-parkiniana, l’era parkiniana e l’era post-parkiniana>>. Anche se bisogna mitigare questa affermazione di André Hodeir (estendendo in particolare l’influenza di Parker ad altri strumenti oltre che al suo), essa dimostra il carattere storico degli sconvolgimenti provocati dalla musica di <<Bird>>. Un virtuosismo straordinario, un lirismo irresistibile: Charlie Parker sintetizza la profondità emozionale del blues e il genio musicale del jazz. Di conseguenza, ebbe sempre – e ha ancora – numerosi seguaci: Sonny Sitt, che suonò anche il tenore, Sonny Criss, a suo agio nelle ballad, Charlie Mariano, Lou Donaldson dal temperamento tipicamente bluesy, Phil Woods che si è impadronito del linguaggio di Parker per ricomporre un discorso del tutto personale, sono da citare a priori. Ma non si può negare l’influenza che egli ebbe su musicisti tanto diversi come Jackie McLean, Art Pepper malgrado il suo fraseggio lesteriano, e persino Eric Dolphy e Ornette Coleman. Del resto, questa corrente non si è affievolita: rinnovata negli anni ’50 dalla dissacrazione hard bop, funky e calda di Cannonball Adderly, si insinua nelle ricerche, negli anni ’80, di Arthur Blythe, Sonny Fortune, Frank Strozier, Kenny Garrett, Gary Thomas, Paquito D’Rivera e Booby Watson.

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Il Bebop 2/7

25/10/2019

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52nd Street tra la 5th e la 6th Avenue - la casa del Bebop

​<<Più sensibili dei loro confratelli all’erosione dello stile swing>> (André Hodeir, i partecipanti a queste jam session e incontri after-hours stimavano che il jazz praticato allora fosse stato sfruttato fino all’estremo limite del possibile e che i solisti girassero in tondo all’interno delle stesse formule armoniche, degli stessi tipi di arrangiamento, sullo stesso background ritmico. La tecnica, il virtuosismo e l’invenzione dei maestri dell’epoca (Armstrong, Tatum, Coleman Hawkins, Lester Young, Benny Goodman, Lionel Hampton, Jo Jones, Sid Catlett...) raggiungevano una tale perfezione che sembrava impossibile far meglio nella stessa direzione. Ci si può chiedere, d’altronde, se la ipersofisticazione armonica degli Hawkins (che reclutò con entusiasmo dei giovani bopper), Tatum, Ellington, Dodo Marmarosa, come pure la libertà melodica e ritmica di un Lester Young e di un Roy Eldridge, o l’efficace scioltezza di un Jo Jones presso Basie non prefigurassero i rivolgimenti del bop...
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Deep Inside New York – Carnegie Hall

23/10/2019

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Oggi vi portiamo alla Carnegie Hall, sala di concerti newyorkese, situata all’incrocio tra la 57a Strada e la 7a Avenue. Prende il il nome dal magnate dell’acciaio Dale Carnegie (1835 – 1919) che ne finanziò la costruzione. Definitivamente consacrata, dopo la sua costruzione nel 1981, alla musica classica, apre le porte per la prima volta alla musica di colore l’11 marzo 1914 (James Reese Europe) e una seconda volta il 27 aprile 1928 (W.C. Handy). Dieci anni più tardi questo “tempio della musica classica” riceve, come in una sorte d’apoteosi, la “Swing Craze”, con l’orchestra di Benny Goodman e qualche invitato illustre. Cinque anni dopo, esattamente il 24 gennaio 1943, Duke Ellington vi presenta la seconda esecuzione della sua suite Black, Brown, And Beige (che potete riascoltare cercandola nel ​​JUKEBOX). Fino alla fine degli anni ’40 Ellington vi darà annualmentre un concerto. Successivamente la Carnegie Hall è resa disponibile a chiunque abbia i mezzi finanziari per potervisi esibire. Vi si datto i concerti del festival di Newport quando la manifestazione organizzata da George Wein lascia Rhode Island per l’isola di Manhattan. Nel 1924 Paul Whiteman vi presenta Rhapsody In Blue di Gershwin. Ci sei stato? Raccontaci la tua esperienza nei commenti!

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Il Sassofono 6/12

21/10/2019

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Un altro tenore dall’influenza preponderante fu Lester Young. Poetica e sconcertante, la sua musica riflette una malinconia di fondo, che prende successivamente degli accenti di canto languido o di rassegnata protesta del blues. La sua sonorità priva di timbro seduce, dieci anni più tardi, i musicisti bianchi di tendenza cool desiderosi di togliersi il marchio dei furori bebop all’origine dei quali troviamo un altro sassofonista di Kansas City, Charlie Parker.

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Il Bebop 1/7

18/10/2019

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Il Minton's Playhouse oggi - 206 W 118th St, New York

Termine onomatopeico derivato, pare, da una figura ritmica... oppure dalla traduzione vocale (ripresa nel canto scat) di un finale di frase caratteristico del “nuovo jazz” all’inizio degli anni ’40 a New York, e che ha finito per disegnare l’insieme di questo stile di jazz. Sotto il doppio segno della sperimentazione e della competizione, il bebop venne elaborato, al di fuori di ogni orchestra costituita, da un gruppo di giovani musicisti di colore che, avendo acquisito una solida esperienza professionale, si ritrovavano ad Harlem, al Monroe’s Uptown House, e, soprattutto al Minto’s Playhouse, dopo il loro lavoro regolare: Charlie Christian, Thelonious Monk, Benny Harris, Kenny Clarke, Dizzy Gillespie e Joe Guy, tra gli altri, ai quali si univano a volte degli ospiti venerabili come Chu Berry, Ben Webster, Don Byas o Lester Young.
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Deep Inside New York – Birdland

16/10/2019

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Club di jazz newyorkese situato a Broadway, tra la 52a e la 53a Strada. Creato da Morris e Irving Levy, apre i battenti il 15 Aprile 1949. Chiamato dapprima The Ebony, poi The Clique, è ribattezzato Birdland in onore di Charlie <<Bird>> Parker che vi suonò per l’inaugurazione e ne divenne uno degli habitué con i bopper del momento. Il locale è diventato così il simbolo di tutta l’epopea bebop. Ricostruito sul set di ‘Round Midnight’, Il film di Bertrand Tavernier, fu riaperto per una serata eccezionale, nel 1985, in occasione della rinascita dell’etichetta Blue Note.

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Il Sassofono 5/12

14/10/2019

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Ma colui che è stato soprannominato “il padre del sax”, Coleman Hawkins, non ha seguito nessuna di queste strade. Non è stato certamente il primo a suonare il sassofono in un’orchestra jazz ma fu il primo a farlo in questo modo: fraseggio versatile, sonorità calda e rauca, capace di andare dall’urlo più aggressivo al bisbiglio più sensuale, il <<Bean>>, diede al sax una levatura di cui ancora oggi non si finisce di misurare l’estensione. Senza rivali all’inizio (eccetto Prince Robinson e Bud Freeman, in un registro completamente diverso), segue sempre con un’attenzione da rapace (coincidenza: il suo diminutivo, Hawk, Significa “falco”) l’evoluzione del jazz, sentendo il bisogno di confrontarsi con le musiche successive come quella dei bopper o apparentemente estranee al suo stile come quella di Thelonious Monk. Fra i seguaci di Hawkins, suoi contemporanei, bisogna citare il texano Herschel Evans, che suonò con Basie, Ben Webster, dalla caratteristica sonorità, offuscata da un’enorme quantità d’aria, e Chu Berry, dallo stile particolarmente fluido. Ma questa corrente ebbe delle ramificazioni in tutte le epoche del jazz: Don Byas, Ike Quebec, Eddie Lockjaw Davis, Illinois Jacquet, poi Paul Gonsalves, Lucky Thompson, Booker Ervin, addirittura Sonny Rollins e Archie Shepp, musicisti che sono tutti, più o meno, i discendenti stilistici di Coleman Hawkins.

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La Bossanova #3

11/10/2019

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Il 13 Febbraio 1962 Stan Getz, con il trio di Charlie Byrd, registra Desafinado, una delle più celebri composizioni di Jobim. Ne segue una moda formidabile di questa corrente musicale che supera ben presto i limiti del continente americano. Qualche mese più tardi, Getz incide un album leggendario in compagnia di Jobim e della coppia, Gilberto. In seguito, Jobim lavora molto negli Stati Uniti e registra anche con Frank Sinatra. Questa evoluzione provoca un certo imbarazzo nella nuova generazione dei musicisti brasiliani che non accettano sempre questa associazione con i nordamericani.
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La musica popolare brasiliana conosce in seguito nuovi sviluppi che si intrecciano a volte con quelli del jazz, ma la bossa nova sembra aver conosciuto il suo apogeo verso la metà degli anni ’60. Più che una reale impronta stilistica, il suo apporto essenziale al jazz sarebbe dunque l’attrazione di una pulsazione ritmica nuova e soprattutto un rinnovamento di fondo incontestabile degli standard ai quali vanno ad attingere alcuni dei migliori solisti dell’epoca: Dizzie Gillespie, Zoot Sims, Coleman Hawkins, Sonny Rollins, Dexter Gordon, il Modern Jazz Quartet, Ella Fitzgerald, McCoy Tyner.

[A.M.]

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On February 13, 1962, Stan Getz, with the trio of Charlie Byrd, records Desafinado, one of Jobim's most famous compositions. It follows a formidable fashion of this musical current that soon exceeds the limits of the American continent. A few months later, Getz recorded a legendary album in the company of Jobim and the couple, Gilberto. Afterward, Jobim works a lot in the United States and also marks with Frank Sinatra. This evolution causes some embarrassment in the new generation of Brazilian musicians who do not always accept this association with North Americans.
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Brazilian popular music subsequently underwent new developments that sometimes intertwine with those of jazz, but bossa nova seems to have reached its apogee in the mid-1960s. More than a real stylistic imprint, its essential contribution to jazz would, therefore, be the attraction of a new rhythmic pulse and above all an unquestionable fundamental renewal of the standards to which some of the best soloists of the time are drawing: Dizzie Gillespie, Zoot Sims Coleman Hawkins, Sonny Rollins, Dexter Gordon, the Modern Jazz Quartet, Ella Fitzgerald, McCoy Tyner.

[A.M.]

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Deep Inside New York – Apollo Theater

9/10/2019

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Uno dei “templi” dell’entertainement e del jazz nero a New York. Situata nella 125a Strada, tra la 7a e l’8a Avenue, questa sala, aperta nel 1910 nel cuore di Harlem – che era allora una zona popolata dai bianchi – presentava spettacoli vari e riviste con star quali Fanny Brice o Sophie Tucker. Fu chiamata Apollo Theater nel 1934. Con l’espansione della comunità nera a partire dagli anni ’30, l’Apollo fu aperto anche agli artisti di colore. Si può dire che, da Bessie Smith ad Aretha Franklin, tutte le star nere dello show business statunitense saino passate su questa scena. Una scena che, ovviamente, ha accolto anche le orchestre più celebri: Claude Hopkins per primo, Chick Webb, Fletcher Henderson, Andy Kirk, Jimmie Lunceford, Count Basie, Duke Ellington... A partire dagli anni ’60, il jazz è diventato molto più raro sulla scena dell’Apollo. Secondo una credenza radicata, Ella Fitzgerald vi avrebbe conosciuto il suo primo successo – come Pearl Bailey, Thelonious Monk e Sarah Vaughan – vincendo uno dei concorsi per dilettanti che vi si svolgevano tradizionalmente il mercoledì sera. Due autori, Jervis Anderson (Harlem, The Great Black Way) e Ted Fox (Showtime At The Apollo), hanno contestato questa versione dei fatti. Secondo loro, infatti, il concorso di canto si svolgeva alla Harlem Opera House.
[A.C.]
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